venerdì 4 marzo 2022

Tu chiamale, se vuoi, emergenze


Tu chiamale, se vuoi, emergenze.
Richiamalo, se vuoi, vaccino.
Chiamalo, se vuoi, lasciapassare green ma è solo l’altra faccia della parola d’ordine per entrare in trincea: con i “nostri” e contro gli “altri”.
Io non ci sto.
All’orrore delle guerre ho sempre opposto il mio rifiuto totale: a quelle contro i virus come a quelle contro i cattivi nemici da eliminare per la nostra sicurezza.
Sono consapevole che esistono infinite malattie, molte delle quali causate proprio da noi uomini che poi vorremmo “combatterle”, così come esistono in data odierna 900 conflitti bellici sul nostro pianeta. Un orrore, appunto.
Mi sono fatto processare per renitenza alla leva qualche decennio fa e sono pronto a rifarlo per renitenza ai TSO.
Non so voi ma io agli schieramenti globali non ci credo neanche un po’, soprattutto se sono il frutto di una mediatizzazione spinta.
E continuo a tener spenta la TV e a camminare per la mia strada.
In cuor mio so che non accetterò nessuna chiamata alle armi, né ora né mai, come nessun richiamo a fantomatici quanto sicuri vaccini in preparazione per l’autunno e imposti con strategie emergenziali.
L’unica vera emergenza è quella di prendere consapevolezza che questo sistema è allo sbando, che per tentare di farlo sopravvivere si mandano al massacro come sempre i più deboli, che i diritti e i valori conquistati da chi ci ha preceduto si stanno squagliando come neve al sole.
Togliamoci le maschere per favore, quelle sociali e quelle facciali.
Boli bana, diceva un signore del Burkina: è finito il tempo di fuggire.

lunedì 21 febbraio 2022

La Decisione



È un ricordo, una consapevolezza, che risale all’infanzia e quindi nemmeno all’adolescenza o all’età adulta.
I miei genitori, che mi hanno voluto davvero bene, mi hanno sempre incitato e spinto a decidere.
Ovvero ad assumermi la responsabilità e il piacere della decisione personale e autonoma.
Invitandomi, aiutandomi e perfino costringendomi a decidere hanno agito negli anni - ma cominciando da subito! - affinché potessi avere le capacità, le forze e gli strumenti perché ciò potesse realizzarsi, allora come oggi.
Ne andava della mia autonomia, presente e futura, della mia libertà come bambino e come futuro adulto, della mia formazione di uomo capace di realizzarsi come persona indipendente e rispettosa in un contesto di vita collettivo.
Come bambino, sono quindi cresciuto decidendo su come volevo organizzare la mia stanza, sulle attività che desideravo svolgere, sugli studi che volevo seguire, su che strumento musicale suonare o su che musica ascoltare, su come spendere i quattro soldi che mi trovavo in tasca, su che amici frequentare, su cosa volevo mangiare.
Decidevo io di che persone innamorarmi e a chi volevo credere: nella Vita, in Dio, nella Natura?
Decidevo se leggere Salgari, Verne, Stevenson o Scott.
Decidevo come impiegare il mio tempo nella giornata: a cosa giocare, quanto giocare, con chi giocare?
Il tutto all’interno di limiti naturali e sociali che trasformano la decisione anche nella capacità di accontentarsi, di fermarsi, di privarsi senza soffrirne affatto perché ero stato messo in grado di comprenderne la ragione.
Decidevo, semplicemente decidevo, con la consapevolezza già matura che rinunciare alla mia capacità decisionale (al mio potere) e al mio dovere di esercitarla (dovere verso me stesso e verso gli altri) sarebbe stato quasi come dare le dimissioni dalla vita stessa.
Gli anni che sono trascorsi dall’infanzia a oggi sono stati solo una continuazione di tutto ciò. Senza brusche interruzioni, senza spaccature e scissioni, continuo ad essere il bambino che ero nell’uomo maturo che sono. Come allora continuo a decidere, cioè continuo a scegliere la mia vita piuttosto che subirla.
Cammin facendo, tra gli alti e bassi di ogni comune esistenza, ho comunque affinato i miei strumenti e maturato le mie consapevolezze. Ormai da tempo sono conscio che non c’è decisione possibile senza terreno che la sostenga.
Non ci è dato di decidere se il nostro corpo non ha la forza, l’equilibrio, la tensione vitale per sostenerci in tale azione.
Non ci è dato di decidere se l’entusiasmo ci abbandona.
Non ci è dato di decidere se non avvertiamo la gravità implicita (e sacra) in ogni atto della nostra esistenza.
Per questo ho scelto l’attività che svolgo con passione tutti i giorni, il lavoro che offro e mi offro, l’impegno che mi sono assunto.
Che si riassumono anche nelle parole: l’essere umano nobilita la propria esistenza quando è in grado di decidere come vivere e come morire. Basta trovare le chiavi e gli strumenti per poterlo fare: non è questo, in fondo, il lavoro che siamo tutti chiamati a compiere?
Da quando ho diciassette anni ho anche imparato a decidere in prima persona come curarmi (o non-curarmi) e come assumermi la responsabilità del mio corpo e della mia salute.
Per qualcuno potrebbe forse esser difficile comprendere o apprezzare questo concetto ma tutta la mia capacità di indipendenza nasce da quella decisione.
È altrettanto difficile per me spiegarlo, comunicarlo con le parole.
Tuttavia, posso solo dirvi che per me oggi è assolutamente impossibile accettare che chiunque altro possa sindacare, stabilire, impormi qualcosa rispetto al mio corpo e alla mia salute.
Per questo so, e non ho dubbio alcuno, che nessuno sceglierà mai per me o al mio posto rispetto a questi temi: se ciò dovesse avvenire sarà attraverso la violenza e la costrizione fisica.
Contro le quali, ovviamente, la mia ribellione è e sarà totale.
Questa convinzione viene da molto molto lontano e non ha nulla a che vedere con l’ideologia.
Nasce piuttosto da una decisione, presa da piccolo e attorniato dall’amore di chi mi circondava, creatasi e maturata nel ventre più che nella mente: una decisione che nutre la mia forza, mi fa sentire intero, in pace con me stesso e con la vita che mi anima.
Essa mi permette di vivere l’oggi con pieno piacere e di sperare in un domani della nostra società che sia rispettoso dell’autonomia, della diversità vista come ricchezza e di una libertà individuale che non può, non deve esser vissuta come minaccia ma come l'unico vero seme di una fertile e sana vita collettiva.

giovedì 3 febbraio 2022

Limiti inutili



Forse non ci siamo capiti, purtroppo credo però sia così.
Allora vogliamo ribadire il concetto, con forza e convinzione.
Non è una questione di “limitato” o “illimitato”, noi il pass non lo vogliamo proprio: di nessun tipo e di nessuna natura.
Né sanitario, né comportamentale, né etnico, né sociale né... né... né...
Ogni pass è limitato e becero di per sé, ogni pass è discriminante, ogni pass è violento.
Non lo volevamo quando intuivamo con orrore che qualche mente malata lo stava concependo, non lo volevamo quando è stato applicato senza nessuna giustificazione o utilità sanitaria, non lo volevamo quando avevamo capito che avrebbe spaccato in due la nostra società dividendoci tra “buoni” e “cattivi” sulla base di criteri che definire discutibili è troppo poco.
Non lo vogliamo, ora, perché diventi un sempre più raffinato e tecnologico sistema di controllo sociale, di controllo delle nostre azioni, delle nostre scelte, della nostra vita privata.
Non lo vogliamo, anche perché riteniamo avvilente che la nostra esistenza sia ridotta a numeri, a codici, a schede tecniche che determinino se possiamo viverla in un modo o in un altro.
Non lo vorremo mai, in futuro, per non ripetere tragici errori di cui la storia è piena e che, senza alcuna consapevolezza, senza trarre insegnamenti dal passato, sembriamo come piccoli umani portati a ripetere.
Non lo vorremo mai perché sogniamo, crediamo, sosteniamo un’idea di mondo e di società nei quali la libertà individuale si sposi con il benessere collettivo, nei quali la realizzazione dell’individuo - nella sua unicità indivisibile - possa avvenire senza doversi conformare a uno stampino preconfezionato uguale per tutti e senza dover sottostare ad un numero imprecisato, non criticabile, imposto dall’alto, di regole, se non a quelle davvero necessarie per un’equilibrata esistenza collettiva.
Vogliamo assumerci le nostre responsabilità ed esprimerle.
Vogliamo poter decidere come vivere, come agire, come muoverci.
Vogliamo decidere su come curarci, come educarci, come amarci.
Vogliamo semplicemente vivere.
In pace e fratellanza, in armonia con la natura, nel rispetto del vivente.
E senza alcun lasciapassare.

mercoledì 2 febbraio 2022

Bargioioso


 

Noi non ce ne rendiamo conto.
Ma stiamo creando il mondo che verrà.
Proprio adesso, sì,
in questo istante in cui io scrivo e voi leggete,
in spirito già vive la forma di domani.
Il domani, a dire il vero, non esiste proprio,
è solo una proiezione, forse necessaria ma affatto inesistente.
Avete vissuto anche una sola volta nel domani?
Domani è ora.
Chi mi conosce sa che coltivo i sogni,
che i sogni sono il seme che nutre il mio terreno,
che il terreno offre i frutti che abbiamo seminato.
Dona con generosità sorprendente,
senza calcoli, senza interesse, libero di generare.
Chi distingue tra realtà e sogno
a mio avviso commette un grande errore,
taglia via i rami che daranno i frutti,
li toglie prima che questi possano riempirsi di boccioli.
Ogni distinzione, ogni separazione
cancella un pezzetto di verità.
La elimina dall'orizzonte o almeno così potrebbe sembrare.
In realtà una mente potata e uno spirito scisso,
sono solo un riflesso parziale
del nostro io frammentato.
Anche nostro malgrado la vita crea e si crea.
Anche se non fluiamo con lei essa scorre.
Anche se non ne siamo consapevoli
la vita è una, intera, potente.
Prima e dopo di noi,
da sempre e per sempre.

lunedì 10 gennaio 2022

Ammalatevi, gente!



Ammalatevi, gente,
ammalatevi più che potete!
Ammalatevi se volete rimanere in salute.
Ammalatevi da bambini,
prendendovi tutte le malattie infettive che potete
e imparando così a riconoscere fin da subito,
dai primi mesi, dai primi anni,
come elementi normali della vostra vita quotidiana
la febbre, il dolore, lo squilibrio, il disagio,
ma anche l’incredibile forza della vita
e la capacità innata di reagire del vostro organismo.
Ammalatevi da adolescenti, bruciando con i vostri amori,
nutrendovi delle irrazionali forze
che vi guidano ancora in quegli anni,
e costruendo sui vostri squilibri le vostre autentiche identità.
Ammalatevi da adulti per rinnovare le vostre forze,
per coltivare la vostra sensibilità e mantenerla integra,
per allenare i vostri corpi, aiutarli ad agire,
lasciarli ancora muovere spontaneamente.
Ammalatevi da anziani e vecchi per sentirvi ancora giovani,
per confermare la fiducia nella vita
che pulserà in voi fino all’ultimo respiro
e rallegrarvi delle vostre capacità di esprimerla.
Ammalatevi a tutte le età per poter imparare a morire.
A morire come si muore
in ogni singolo istante della nostra esistenza,
per rinascere, trasformarsi, unirsi, armonizzarsi con l’Essere.
Ammalatevi sempre e passateci attraverso interi e sereni
perché è in questo modo che la natura sana gli squilibri
e dona vigore a tutto ciò che vive.
Ammalatevi perché questo vi indicherà la via
per vivere la vostra vita totalmente,
con tutta la pienezza, l’intensità
e la sacralità che essa invero merita.

martedì 30 novembre 2021

Deliri prima del caffè

 


Volevamo esportare la democrazia nei paesi "arretrati".
E con questo slogan di facciata abbiamo disprezzato e bombardato.
Con buona pace dei nostri antenati ateniesi, dopo qualche secolo, appare tuttavia evidente che della democrazia non conoscevamo la sostanza ma solo il concetto.
Ora il vento sta cambiando e va di moda la tecnocrazia.
Con l'aiuto del G5, del G20, e di fiumi di denaro investito oculatamente dalle grandi famiglie, sembrerebbe meno complesso spalmare su scala globale questo modello aberrante di società del controllo.
Parola chiave, già fin d'ora, non è più libertà ma sicurezza.
Qualcuno però non se ne farà una ragione e continuerà a sperare nell'esistenza di un incivile, insicuro e primitivo villaggio nascosto nel profondo della foresta, tra le montagne, nel deserto o sul fondo del mare. Un villaggio incontaminato dalla tecnologia in cui verranno custoditi, senza che nessuno lo sappia, i semi di un'umanità antica.

venerdì 26 novembre 2021

Un salto nel multiverso futuro


Nel secolo scorso Haruchika Noguchi, morto meno di cinquant’anni fa, proponeva un modo nuovo e originale di concepire la salute degli esseri umani.

Con una calligrafia tutta sua e molto particolare scriveva poesie e aforismi. Li considero tanto preziosi che, nella mia abitazione e nel dojo in cui pratico, ho appeso delle stampe che li riproducono. Li lascio esposti in bella vista in modo che i miei occhi possano impregnarsi di quegli ideogrammi, già in sé molto evocativi, e per rinfrescarmi la memoria ogni giorno che passa.

Egli scriveva per esempio cose di questo tipo: se vuoi condurre una vita sana “sentiti dentro il vento quando esso soffia e sentiti parte della pioggia quando essa cade” oppure “vivi sempre senza pressione e in una gioiosa leggerezza”.

Sorprendentemente, forse per alcuni ma non per me, sosteneva anche che “salute è non occuparsene”.
In sostanza, Noguchi, che non aveva di certo una visione meccanicista dell’essere umano - non lo riteneva perciò una macchina biologica riparabile e modificabile a piacimento - era perfettamente conscio di quanto sia importante l’orientamento della nostra psiche nel mantenimento della nostra salute.

Ciò vale a dire che l’orientamento interiore che adottiamo influenza tutto il nostro organismo e, in vari modi, crea e determina il nostro futuro.

Non vorrei soffermarmi ora sul fatto che una vecchia e superata scienza, ancora ancorata ad una visione materialista, non riconosca la verità di quanto ho appena affermato. Una nuova scienza più aperta allo spirito e ad una conoscenza multiversale - nonché capace di riconoscere l’esistenza di un’anima - non solo lo sostiene bensì si apre e si nutre di una visione più ampia, complessa, interessante della vita e degli organismi viventi (macro e micro, visibili e invisibili) nel loro insieme.
Per inciso, parlare di “nuova” scienza è in sé un modo di dire riduttivo e inappropriato che non può che far sorridere: infatti ad essa sta giungendo - e solo negli ultimi decenni, sebbene esistano illustri precursori - il nostro pensiero occidentale. Il Taoismo e il pensiero cinese antico, tanto per fare un esempio, erano giunti a conoscenze (o non-conoscenze) probabilmente ben più avanzate della nostra già molto prima che Cristo camminasse in terra di Palestina.

Tuttavia, lascerei ora perdere il dibattito su scienza e scientismo (quest’ultimo è un impoverimento della scienza che consiste nel trasformare la sua parte “fissa” in religione) ormai ufficialmente e direi finalmente aperto; non è questo il soggetto di questo mio post.

Ritornerei invece a Haruchika Noguchi e a quando diceva che “gli uomini che credono in un avvenire felice hanno gli occhi che brillano”. Sono parole che non voglio dimenticare e che cerco di far mie nella vita quotidiana.

Anche nei momenti difficili della mia vita personale o in quelli bui e popolati da scenari tenebrosi che sta attraversando la società in cui viviamo, cerco di non perder di vista - e di comunicarlo come posso e dove posso - che siamo noi gli artefici del nostro futuro, noi i seminatori della nostra buona salute, noi i creatori del nostro mondo.

Se la nostra mente è popolata costantemente da visioni apocalittiche - nient’affatto ingiustificate peraltro - finendo per rimanerci invinghiata e se, consapevolmente o inconsapevolmente, ci rinchiudiamo in quei confini asfissianti, finiremo senza dubbio e senza via di salvezza possibile per divenirne schiavi. Non smetto mai di dire che il lockdown peggiore è quello che rischiamo di imporci da soli.

Se, parimenti, la psicosi su scala globale che ci è stata imposta da una politica e da una gestione della società nella migliore delle ipotesi solo miope e ignorante e nella peggiore scientemente dolosa, dovesse continuare ancora a lungo, gli effetti sulle condizioni di salute collettiva non potrebbero che essere drammatici. Su questo, credo siano d’accordo un po’ tutti: psicosi e paura, forse non provocate intenzionalmente ma sicuramente strumentalizzate fino in fondo, non porteranno, negli anni e nei decenni a venire, che ulteriori malattie e sofferenza.

Dobbiamo dunque tirarcene fuori fin da subito, prenderne coscienza e fuggire a gambe levate, disinnescare ciò che le provoca, farlo andare in cortocircuito, sostituirle con altro...

Come dice bene Philippe Guillemant possiamo e dobbiamo oggi sostituire un “fotturo” superato e disumanizzato (ovvero un futuro già fottuto che ci era destinato senza che ne fossimo consapevoli) con un futuro luminoso in fase di creazione e molto più rispettoso del vivente. Il fotturo, infatti, sta forse giocandosi le (ultime?) cartucce che gli sono rimaste e, per cercare di sopravvivere e realizzarsi, combatte aspramente ogni nuova visione possibile.

È una tesi assai ottimistica, quella di Guillemant, che sposo volentieri anch’io. E che ci fa vedere con occhi diversi tutta la pseudo pandemia (che di epidemia seria si sia trattato è fuori di dubbio ma una pandemia è altra cosa).

Forse che, in questa vicenda così tragica per certi versi e così portatrice di cambiamento per altri, il virus non abbia solo un ruolo “negativo” e che ci stia invece dando una mano ad uscire da un vicolo cieco? dice, in sostanza il nostro fisico quantistico francese. Non sarebbe più soltanto il “terribile virus”, nemico numero uno da combattere e sconfiggere a tutti i costi ma un “gentile virus” che sta scombinando tutte le carte in tavola (e anche molti piani qualora ci fossero) e che, nel farci apparire in tutta evidenza quanto orribile possa diventare il fotturo a cui stiamo/stavamo andando rapidamente incontro, in realtà ci costringe ad un risveglio, ci porta a costituire nuove reti esistenziali e a dar corpo a una nuova coscienza. Senza quest’ultima non andremmo da nessuna parte, ne sono profondamente convinto, ma con essa potremo concepire un mondo radicalmente diverso.

Ci vorrà molto tempo? È probabile, così come è probabile che noi ci si trovi attualmente solo nel bel mezzo di una fase di profonda trasformazione dell’umanità di cui per ora siamo in grado di cogliere solo alcuni aspetti. Il tempo, ammesso che esista, ci dirà cosa è giusto.

In fondo, anche Haruchika Noguchi sosteneva che ci sarebbero volute decine di generazioni prima che la cultura Seitai di cui era portatore potesse diventare cultura comune e diffusa.
In quella cultura vita e morte non sono disgiunte e la salute non è vista come sinonimo di assenza di malattia. Ne riparliamo tra qualche anno? O prima, che ne dite?