lunedì 22 giugno 2015

Il mio Cammino di Santiago (8)

27 ottobre

Nella bruma e sotto alla pioggia fredda del mattino parto da solo e, come ogni giorno, canto il “Padre Nostro” con le parole francesi. Lo canto con le melodie più diverse, alcune le invento io, altre si ispirano alle liturgie ortodosse che ho potuto ascoltare a Saint Michel du Var. È un canto dolce, quello che esce e mi riscalda… Poi sorgono spontanee anche altre preghiere con rime melodiose. E per concludere, il norito purificatorio, vigoroso e allegro.
È arrivato davvero il freddo che tutti attendevamo e oggi la pioggia e il cielo grigio non mi hanno certo aiutato. Mi sono perso non una ma due volte! Chiuso in me e nei miei pensieri, sotto la pioggia battente e avvolto nel mio mantello impermeabile blu, non ho visto frecce né cartelli. Ho preso un sentiero sulla sinistra invece di continuare diritto e in breve tempo mi sono ritrovato fuori strada di molto! Ho allora tagliato per campi complicandomi la vita. Ho finito quindi per accettare molto volentieri un passaggio di un cacciatore che mi parlava di come stanno aspettando le oche migratrici… Quelle fanno migliaia di km nel vento, volando con sforzi estremi contro tutte le intemperie per farsi poi abbattere da un solo colpo di fucile. Ora che cammino, ho un acuto senso delle distanze che si percorrono quando si fa affidamento unicamente ai propri mezzi. Niente ruote né motori: per noi sono le gambe e i piedi a portarci, per gli uccelli le ali. Provo un senso di fratellanza e di vicinanza… E non approvo il cacciatore che solo attende e preme il grilletto. L’auto mi ha soltanto riavvicinato al cammino e ad un bivio ho esitato e mi  sono perso nuovamente. Non è solo la mancanza di frecce gialle che ti fa capire di essere fuori strada. Giunto in un villaggio vedi tante persone che ti guardano in maniera strana e capisci che non vedono spesso pellegrini di passaggio. Anche gli animali sono sul chi vive e i cani fanno la guardia sospettosi.
Il villaggio in cui sono passato si è dimostrato particolarmente inospitale e aggressivo. Nessuno mi aiutava a ritrovare il cammino e ho rischiato davvero di incappare in un incidente che avrebbe avuto conseguenze disastrose. Mi hanno salvato prontezza e istinto. Un rumore furtivo di passi veloci mi ha fatto girare di scatto, pochi secondi in più e sarebbe stato troppo tardi. Mi sono trovato di fronte alle fauci spalancate e ai denti affilati di un enorme cane lupo che puntava diretto ai miei polpacci. Il vigliacco mi aveva lasciato passare per assaltarmi di nascosto alle spalle e azzannarmi. Batto risolutamente il bastone sul suolo e lo blocco con un grido acuto che mi viene dal ventre. Lui parte improvvisamente in ritirata, spaventato. Ci è mancato davvero poco…
Nello stesso paese ho incontrato altri due cani aggressivi, proprio come gli abitanti, muti e scontrosi.
Che differenza con Grañon che a pochi km di distanza era stato così accogliente! Ieri in quel paese ospitale un gattino rosso mi ha seguito dappertutto e anche stamattina è corso a salutarmi miagolando mentre partivo e faceva ancora buio.
Solo camminando si possono percepire in modo così tangibile delle differenze così marcate che contraddistinguono villaggi diversi. Solo entrando in un paese lentamente e ad un ritmo umano – il ritmo dei passi - se ne può cogliere l’atmosfera che vi regna. Non avrei mai pensato che due paesi limitrofi potessero risultare così diversi. Se li avessi attraversati in auto non avrei colto alcuna differenza.

Di sera faccio il calcolo. Credo di aver percorso circa i miei primi 500 km… Sono tanti, sono pochi? A piedi, due villaggi che distano 20 km l’uno dall’altro si trovano ad una giornata di distanza… 500 km sono un’infinità, un giro del mondo… E siamo solo a metà.
28 ottobre

Da Tosantos a Altapuerca

“Peregrino, cosa te llama ¿”
Come dimenticare il cammino di oggi, su e giù per le colline nel vento possente?
Tanto possente da spostarmi, da spingermi indietro, da farmi traballare.
Ogni tanto si sale e si cammina in altopiano, in cima al mondo.
Nuvole, sole e aria gelida del primo inverno.
All’improvviso passano loro, venti, trenta o forse quaranta?
Sono anatre o quali altri uccelli migratori?
Il loro passaggio è così intenso, quello che smuovono nel mio cuore è così forte,
che piango e piango tanto.
Le lacrime che se ne vanno portate via dal vento bagnano le mie guance e il collo.
L’aria gelida le accarezza.
Uccelli migratori che con tanta tenacia andate verso l’ovest e il sud-ovest,
siete come me, come noi pellegrini che andiamo tutti insieme verso una meta lontana.
Quanto mi impressiona e commuove il vostro volo!
E il vento che vi sposta, vi ribalta, vi manda a destra e a sinistra o quasi indietro…
Ma che non vi ferma o scoraggia, è la natura che si esprime così.
Voi imperterriti continuate bruciando tutte le vostre energie,
Ultreia, oltre… gyate gyate hara soo gyate…
oltre all’infinito, senza calcolo e senza limiti
chiamati da una voce interiore,
aspirati da un respiro universale,
siete uno e siete natura,
e io sono con voi, senza distinzione, per questo piango…



                                Ecco come si presentava oggi il cammino sotto ai miei piedi: che splendore!


ƒm

Ieri, serata italiana a Tosantos, doveva arrivare prima o poi… Ritrovo Andrea e Alessandro, conosciuti a Grañon e da bravi italiani “con la chitarra in mano” cantiamo a perdifiato tutte le canzoni classiche del nostro repertorio. Così si aggiungono a noi tanti altri e con le voci si muovono tante energie. Così parole e canzoni mi hanno riportato indietro di molti anni ed è stato bello.

ƒm

Questa è l’ultima pagina del mio primo quaderno, non è un caso perché sta per cominciare il mio deserto. Già lo so e lo attendo con ansia. Arriva la tratta che va da Burgos a Léon, quella più temuta dai pellegrini perché solitaria, tanto lunga da sembrare infinita, vuota. È qui che si può misurare la propria forza interiore e la propria decisione. Molti decidono che è meglio prendere l’autobus e fanno a meno di questa prova. Io sono qui per questo…
Camminerò da solo? Rimarrò in silenzio? Vedremo…
Tuttavia dopo gli ultimi giorni in cui ho vissuto forte il gruppo, la condivisione e l’amicizia ora so che sta per cominciare una nuova fase del mio cammino.
Arriva la Meseta, quella vera e temuta, e io sono pronto. Stanno cominciando anche le difficoltà fisiche ma non mi preoccupano.
Nuove pagine bianche di un nuovo quadernetto attendono di esser riempite.

domenica 24 maggio 2015

Il mio Cammino di Santiago (7)

 
23 ottobre

È mattina e stiamo attendendo che la sig.ra Mercedes Lopez ci apra la porta dell’Iglesia del Santo Sepulcro (sec.XII) che da fuori, con le sue finestrelle in marmo bianco e sottile, richiama Eunate. La Cruz dos Caballeros del Santo Sepulcro è posta proprio sopra l’ingresso. Come Eunate anche questa di Los Arcos è una chiesa romanica e ottogonale (pare che ce ne siano solo due in Spagna…). C’è un bellissimo crocifisso in legno, in cui il Cristo tiene le braccia aperte e non incrocia i piedi. Porta una corona e non le spine sul capo, è sereno e occupa una posizione centrale dietro l’altare. In alto ci sono solo due altre immagini e sono due teste. Quella di destra è la testa del diavolo, a sinistra invece sta una testa di leone con in bocca una preda. Tutto sommato ad Eunate il senso del sacro e del misterioso era più forte.

ƒm

Comincia la Meseta? Finalmente!
Orizzonti ampi, vento e sole…
Chissà che caldo fa qui in estate!
Ora è un vero piacere camminare, lasciarsi scaldare dal sole e poi sedersi sotto a un alberello e riposarsi godendo dell’ombra, dell’aria e del silenzio.
In questo tratto sono solo, Stéph è rimasta un po’ indietro e ha fatto amicizia con un giovane del Quebec. Bene! Probabilmente stasera ci rivedremo ancora, mangeremo insieme, ci abbracceremo e da domani mattina comincerà un nuovo cammino. Da solo percorrerò distanze più lunghe. Non è arrivare che sento importante ma è oggi il mio corpo che mi chiede di più. Le gambe e la testa mi dicono in tutti i modi che 20 km sono troppo pochi per una tappa…

Un accenno al bar di Viana, il bar più rumoroso che abbia mai conosciuto nella mia esistenza! Sono le 14.15 e mi segno l’ora perché credo che si tratti un’ora di punta prima di un rapido svuotamento per la siesta. La sala e piena e una cinquantina di persone parlano tutte contemporaneamente così forte che è impossibile sentire il suono dei due televisori che stanno trasmettendo a volume normale. Faccio un rutto forte per via della birra e il mio vicino nemmeno se ne accorge. Tutto è bellissimo e le tapas sono deliziose. Ma è dura per il bebè nella carrozzina... Ad un certo momento la sala si svuota ad una velocità impressionante e le persone scompaiono dileguandosi come nel nulla. Il rumore sembra ridiventare normale eppure è ancora frastuono… Spagna…




24 ottobre

“R. sai molto bene
che quello che ho amato in te
non sei tu.
Verso di Lui tutto è aperto.
Per quanto ti riguarda
provo solo stanchezza e saturazione”.


ƒm

A Viana, sulla strada davanti alla porta dell’albergue, un ragazzino portoghese di 11 anni, Carlos Alberto, mi si avvicina e mi chiede “Tienes una bici por mi?”. Gli spiego che cammino e che non ho bici ma lui insiste: “Tienes una bici por mi?”. Me lo chiede una decina di volte. Non capisce che non parlo lo spagnolo. Gli dico che ho due bici, la gamba sinistra e la gamba destra. Lui ride e poi mi chiede ancora se ho una bici da dargli. Quando si allontana si gira verso di me e mi saluta sorridendo. Lo incontro ancora un’ora dopo, ha in mano una racchetta da tennis e una palla ricevute da un signore. È tutto contento e quando mi vede mi chiede: “Hai una bici per me?”. Ho pensato alla bici che mi hanno rubato a Milano proprio prima di partire…



                                      Che cieli e che colori! Di cosa devo preoccuparmi?

25 ottobre

Azofra

Dopo la lunga notte a Navarrete, con hospitaleros italiani, ecco un’altra tappa in pianura camminando molto veloce dietro ad un giovane tedesco. È stato un cammino silenzioso, senza scambiarsi neanche una parola per un’ora e mezza, senza conoscersi, guardandosi ogni tanto.
Seguivo quel giovane ragazzo biondo dai lineamenti un po’ duri che sembrava spinto da una foga particolare e che correva contro il tempo. Ha solo pochi giorni e deve arrivare a tutti i costi, una specie di sfida, una lotta improba. Io ho invece un tempo quasi illimitato ma mi piace mettermi alla prova per un giorno e stare dietro a questo nordico fascio di nervi. Le mie gambe me lo permettono e tengo il passo senza fatica. Siamo continuamente alla ricerca di piccole conferme significative come questa. E dire che negli ultimi giorni ero un po’ raffreddato e stanco, con il morale un po’ basso e accompagnato da pensieri tristi... Dormire molto mi ha fatto bene.
Un gruppo di molti paesi diversi si ritrova regolarmente ogni sera alla fine della tappa. C’è Angel un giovane molto dolce di Murcia, molti ragazzi del Quebec che si sono incontrati strada facendo, qualche francese che attacca facilmente discorso e non smette più, qualche tedesco taciturno e solitario e degli spagnoli a volte un po’ scontrosi. I Quebequois sono tutti piuttosto semplici e con un carattere gentile e aperto. Amano fare gruppo, ridere e mangiare insieme. Condivido la cena con Maxime e Catherine: lui ama la cucina e fa il cuoco, lei è medico e sogna di avere dei bambini molto presto. Non lo dice apertamente ma lo si intuisce apertamente. In questo albergue comunale di Azofra l’atmosfera è un po’ asettica e freddina senza il calore che hanno invece altri rifugi più piccoli. Ma le stanze, che sono quasi piccole cellette, hanno ciascuna solo due letti, il che non è male per le coppie che possono – finalmente – fare l’amore. Io devo accontentarmi di scrivere a C.
A Najera sono passato velocemente, vedendo ben poco. Il monastero era chiuso per lavori in corso. La chiesa, pur non essendo particolarmente bella era molto silenziosa e mi ci sono fermato un po’ da solo. Ne avevo bisogno in questo momento che definirei di vuoto e in cui qualcosa sembra prepararsi. Cammino da tre settimane e sento che qualcosa di nuovo sta per succedere.
  

  



26 ottobre

Grañon

“Put what you can and take what you need”, metti quello che puoi e prendi quello di cui hai bisogno… belle queste parole scritte sulla scatola all’ingresso dell’accoglientissimo Hospital de peregrinos de Grañon. Ma prima di giungervi bisogna cercare un po’… Già, infatti l’arrivo in questo rifugio è insolito e discreto. Una piccola insegna sul cammino indica che l’albergue si trova sulla sinistra, poi più nulla. A fatica si individua una piccola porta di legno con un’altra piccola insegna scolorita: “Hospital de peregrinos”. Poi un’altra porta… chiusa… e delle scale che salgono. Saliranno sul campanile della chiesa? Non c’è altra indicazione e non rimane che salire. Poi con piacevole sorpresa si giunge in un ampio salone caldo e accogliente. Ci si sente i benvenuti! E invitati ad installarci confortevolmente e come ci aggrada. È un luogo reso piacevole dalla sensazione di presenza e di attenzione che lo caratterizzano. Un’attenzione silenziosa ai particolari. Nessuno può capire meglio di un pellegrino che ha camminato per un giorno intero senza sapere quale sarà il suo approdo quanto sia piacevole sentirsi accolto e atteso al suo arrivo. Basta pochissimo per renderlo felice e per rendergli gradevoli le poche ore di sosta che lo aspettano. Un hospitalero sorridente, un luogo pulito e sereno, una buona zuppa calda…
Essere qui fa davvero piacere e se non fosse perché non ci si può fermare per più di una notte nello stesso rifugio… Dormiremo per terra su una specie di tatami di gomma piuma. Il pavimento è un assito di un bel legno scuro e liscio. Potrò sedermi in seiza, meditare e fare il movimento… Che sollievo! Pensavo proprio oggi che mi mancava il fatto di non potermi sedere in terra, la sera quando si è stanchi dopo la lunga giornata. Grazie!

Ora sono nella chiesa molto quieta e scrivo. Una madonna che tiene un piccolo Gesù sorridente che saluta con la mano destra sono al mio fianco. Stanno lì tranquilli e ci facciamo compagnia. 
Ripenso ad un episodio significativo di oggi. Camminavo su un lungo sentiero diritto in mezzo ai campi in piena solitudine. Di fronte a me un bivio senza indicazioni e senza l’abituale freccia gialla. Proprio in mezzo al sentiero un piccolo cane se ne stava immobile tenendo lo sguardo fisso nella direzione opposta a quella verso cui camminavo, cioè dietro alle mie spalle. Gli ho comunicato il mio dubbio a voce alta: “Buongiorno cane, verso dove si dirige il cammino?”. La sua risposta così chiara mi ha sorpreso non poco… Ha voltato la testa – solo la testa e una sola volta – all’indietro indicandomi quale strada scegliere, poi ha continuato a guardare fisso nella direzione di prima. Non ho esitato a seguire la sua indicazione che, non serve nemmeno dirlo, era giusta e provvidenziale. In un cammino come questo incontri di questo genere diventano quasi la normalità quotidiana e finiscono per stupirci solo in parte. Ci accorgiamo che dovunque siamo attorniati da guide, presenze e persone amiche. Basta aprire gli occhi, basta chiedere… È solo perché siamo più aperti e fiduciosi? È solo perché i nostri sensi sono più svegli e vigili? È solo perché la nostra coscienza è più sgombra e pronta ad accogliere messaggi, segni e indicazioni che la natura, gli animali e le persone ci inviano?

Due parole ancora per salutare l’Hospital di Grañon. Ricordo l’incredibile luogo dove si stendono i panni appena lavati… si trova sopra le volte della chiesa. Si cammina facendosi leggeri sul pavimento inarcato e sentendo sotto di sé un grande vuoto… strana sensazione.
La cena della sera è stata preparata da Ben, un giovane hospitalero del New Mexico. L’ho aiutato molto volentieri a pulire e lavare, dopo, era qualcosa di naturale, mi sentivo a casa mia. Abbiamo parlato di politica e religione… non smetteva più di scusarsi e di esprimere la sua vergogna per la recentissima rielezione di George Bush alla presidenza degli Stati Uniti. Poi la sera, dopo cena, siamo stati insieme ad una preghiera comune – oracion – con un prete giovane e deciso. Ci partecipano solo quelli che lo desiderano e ogni sera vengono letti i nomi dei pellegrini che sono passati a Grañon nei 25 giorni precedenti per accompagnarli nel loro cammino verso Santiago. Questa cosa mi è piaciuta e vi ho partecipato volentieri.


                                         Nella valle sotto a Grañon, la mattina presto. Lì finirò per perdermi…

venerdì 1 maggio 2015

Il mio Cammino di Santiago (6)


… a Puente de la Reina

Qui, all’altezza del lungo ponte che da il nome alla cittadina finiscono per congiungersi tutti i cammini che portano a Santiago. Un vero punto di incontro – e di passaggio?
La cittadina è curiosa e si costruisce sulla strada con tre vie “centrali” parallele senza vie trasversali che le colleghino tra di loro. C’è un negozio, tienda ,per ogni bene necessario e nulla più. Le tiendas stanno dietro porte e portoni normali e spesso sono senza insegne.
Devo dire che finora gli abitanti dei villaggi e delle città che ho incontrato sono quasi sempre molto gentili e affabili. Per strada si vedono anziani vitali e molti bambini piccoli. Dopo le ore della siesta la gente popola le strade e riempie i bar. Una certa semplicità e un ritmo di vita “umano” sembrano ancora avere il diritto di esistere da queste parti.
Ho trascorso l’intera giornata con Stéphanie e stasera mangeremo ancora insieme. Spero che incontreremo altre persone che allarghino il nostro mini gruppo di due persone e che  evitino l’insorgere di situazioni un po’ più delicate tra di noi e anche più difficili da gestire.
Con questa ragazza mi sento papà e mi sembra di essere con Chama. Hanno quasi la stessa età, gli stessi bisogni, gli stessi desideri.
Nella notte, giungo le mani pensando a Rita Rollier, ora in cielo. Ne ho avuto notizia al telefono. In questi momenti di silenzio notturno, quando le mani si uniscono il ki scorre forte e non di rado mi vengono i brividi.

La mia realtà sta cambiando. Quello che c’era prima del Cammino mi sembra lontano. L’animo è  più tranquillo e la fronte riposata. Il corpo sta lavorando bene e mi chiedo come sarà tra un mese. Impossibile dirlo oggi, non posso nemmeno immaginarlo…





22 ottobre

Questo mare di umanità nel dormitorio di Estella…
E i respiri e il russare…
E io che non dormo più
Perché ascolto
questa vita che si riposa
e che si muove
rumorosamente nel sonno.
E il giovane carpentiere tedesco
di ventidue anni
che si gira e si rigira nel letto a castello
e parla di lavoro nel sonno.
È proprio accanto a me
e con i palmi delle mani che vanno di qua e di là
mi tocca proprio come farebbe un bebè.
Mi alzo e scendo a scrivere,
in una stanza illuminata da tante piccole lucine
che sembrano candele.
C’è una gran pace ora,
il mondo dorme,
ogni persona a modo suo…
È bello esser desti con una penna in mano e il cervello fresco.
Che importanza se sono le tre?
Preferisco la veglia.

ƒm

Nella stanza e nella stessa notte faccio qualche movimento della Pratica respiratoria dell’Aikido.
Che immenso piacere sentire la spinta delle gambe e delle anche durante il movimento avanti-indietro del Funakogi undo. Raramente negli ultimi anni ho avuto una sensazione di forza e centratura così netta. Sento con gioia di aver ritrovato qualcosa che temevo di aver perduto per sempre.
Tuttavia, so anche che la fragilità della schiena è dietro l’angolo e che devo fare sempre attenzione a non bloccarmi.

ƒm

Estella la bella.
La cattedrale è magnifica.
Per giungervi si deve salire su un’infinita scalinata che ti porta su, sempre più su.
I bambini contano i gradini a voce alta.
Una volta entrati si ha la strana sensazione di essere in altura, su un piano rialzato. Forse perché i livelli dei pavimenti sono diversi.
C’è tutta la Spagna lì dentro, cattolica e pittoresca.
Ombre e luci, donne che cantano e ascoltano la messa, pochissimi uomini – quasi non ne ricordo – poi bambini e tanto movimento di persone.
L’atmosfera è popolare e si è circondati da molte rappresentazioni di santi e vergini di legno, bene in vista nell’abside tonda dietro all’altare.
Gli oggetti disparati danno vita a un insieme ibrido, come ha notato Stéphanie.
Lei è stata lì all’inizio della messa, io alla fine e così non ci siamo incrociati.

Le vie di Estella, come sempre qui in Spagna, si popolano verso la fine del pomeriggio e sono molto gaie. Finalmente c’è una vera piazza dove tanti bambini giocano e gridano come una volta. Chiamo C. da una cabina della piazza e tutto intorno la vita è festosa. Anche le parole che ci scambiamo sono semplici e gioiose perché abbiamo tanta voglia di sentirci. Lei ha fatto un sogno erotico in cui c’ero io. I bar sono pieni di gente e di uomini. Nelle pastelerie, pasticcerie amate da tutti noi pellegrini, ci stanno soprattutto donne e piccoli. Cammino a zonzo per po’, guardandomi attorno rilassato.

ƒm

È mattina e vado deciso verso l’ufficio postale. Ho deciso di spedire a casa i tre chili e mezzo in eccesso nel mio zaino che sono stanco di portarmi dietro. Che liberazione – meglio tardi che mai ! – e che sollievo per le mie spalle e le ginocchia. Finalmente comincio a liberarmi un po’ del troppo… Tengo però il cuore di pietra che continuo, ogni volta che posso, a levigare, pulire, purificare.

ƒm

Nel pomeriggio giungo a Los Arcos, una cittadina di poco interesse con una grande chiesa in cui l’eccesso barocco e la ridondanza di ori e magnificenze sono pienamente rappresentati. La chiesa non mi piace e mi soffermo solo per una rapida visita.
Ora siedo su una panchina in mezzo a una piazza popolata da bambini e mamme. Le voci e la loro animazione mi svegliano un po’. È un pomeriggio segnato dalla stanchezza e anche le prospettive non sono delle migliori. L’albergue dove mi sono fermato non mi piace e vi si respira un’aria ospedaliera. Alzo gli occhi e vedo che sul campanile proprio di fronte c’è un grande nido di cicogna. Non è cosa insolita qui in Navarra, infatti una cicogna l’ho intravista anche a Puente de la Reina. I loro nidi hanno dimensioni impressionanti e sono abilmente costruiti.
Oggi il cammino è stato bello e sotto un sole caldo. Ho attraversato un paesaggio finalmente silenzioso e lontano dai lavori stradali. A tratti il sentiero si snocciolava a perdita di vista davanti a noi, incredibilmente dritto. Questo mi ha permesso di camminare ad occhi chiusi o semichiusi per lunghi momenti. Lo zaino con tre chili e mezzo in meno è molto più leggero e alla mia portata. I polpacci fanno un po’ male, soprattutto nella notte.



                                Il cammino e la natura infinita invitano al silenzio.


ƒm

E se mi limitassi a chiedere
e ad ascoltare?
A rispondere quando mi viene chiesto
e nulla più…
Invece di parlare di me,
di dire
“Io questo, io quello
Anch’io ho visto, anch’io ho fatto…”
Taci, taci, taci.
È adesso l’occasione di farlo.


ƒm

Stéphanie ha un tendine dolorante e rallento il mio ritmo per camminare con lei e raccontarle storie che possono avere un rapporto con il suo viaggio e arricchirne il senso.



domenica 26 aprile 2015

Il mio Cammino di Santiago (5)

 
18 ottobre

La tappa di oggi ci ha portato da Sanguesa a Izco (22 km).
Cammino con Stephanie, Andrea e Sergio. Passiamo dalla Foz de Lumbies e le sue gole attraversate dal fiume Aragon. Ci sono decine di grifoni appollaiati sulle cime. Ogni tanto partono in volo e volteggiano sopra alle nostre teste.
Giornata piena di discorsi con le giovani ragazze  e di pause nel cammino. Sono pause gradevoli ma già da stamattina mi è stato chiaro che non saremmo giunti a Monreal, alla meta prevista.
Faccio le mie prime foto con una macchinetta fotografica usa e getta

Bello il Puente de Jesus - oppure chiamato del Diablo… - e bella anche la sua storia.
Sporgersi sul ciglio del baratro che si apre fino al fiume verde che scorre in basso è piuttosto impressionante. Tengo le mie energie nei piedi per evitare capogiri.
Lì vicino c’è anche uno strettissimo tunnel scavato nella roccia. Si cammina a tastoni nel buio più completo finché, fioca fioca si comincia a intravedere l’uscita luminosa.

Alla sera, nel paesino di Izco semi deserto, un piccolo rifugio viene aperto solo per noi e per una coppia di tedeschi, Christa e Peter - che avevo già incontrato a Jaca - che ci raggiungono.
Cucino la pasta per tutti e siamo molto allegri.

Rispetto alle due compagne di viaggio penso questo: Stéphanie è una ragazza intelligente e discreta e forse cammineremo insieme ancora un po’. Ha solo 22 anni e devo fare attenzione. Andrea mi sembra più scafata anche se non più matura. È nervosa e intelligente. Non credo che faremo molte tappe insieme.

Nella notte sogno una katana, una spada giapponese e sogno di estrarla dal fodero con abilità e destrezza. Mi risveglio con il desiderio di praticare l’Aikido.



                                                     
                                         Stephanie

20 ottobre

Da Tiebas a…

Vento. Vento teso e fortissimo nelle pianure dolci e ondulate.
Mentre cammino penso tanto e liberamente.
Non sono qui per vivere piccole avventure e sento un senso di responsabilità verso Stephanie che è così giovane. Andrea si è fermata per un forte dolore al tendine. Non credo fosse veramente decisa a intraprendere il cammino. L’ultima immagine che ho di lei: è seduta su un altalena su cui si lascia un po’ mollemente ciondolare. È lì magra e bruna che ci saluta con la mano mentre ci allontaniamo. Credo sia un po’ triste e sola ma noi dobbiamo andare avanti.
Intorno i cantieri e le cave sono molti e ci sono camion e rumori di motori.
Ma il suono del vento è emozionante e le poiane si librano sopra alle nostre teste lasciandosi trasportare da lui.
Ieri sera c’è stato un temporale fortissimo accompagnato da un vento tempestoso che è durato tutta la notte. Ho dormito bene e i sogni, di notte in notte, diventano più gradevoli. Sono molti gli amici e le figure del passato che riemergono dai miei sogni. Vengono a visitarmi anche personaggi che non ho forse mai incontrato prima ma che ho la sensazione intima di conoscere benissimo…
Qualche notte fa ho sognato una persona di una qualità particolare: magro, altissimo, diritto, con un ki potente e un portamento maestoso e quasi divino. Scuro di pelle - africano? -  se ne stava silenzioso a fissarmi con i suoi occhi lucenti come scintille. Lo vedo ancora bene, un po’ in alto rispetto a me, immobile su una collinetta con qualche alberello alle spalle. La qualità della sua presenza mi emoziona ancora adesso. Nessuna parola, forse solo il suono del vento e il suo sguardo così significativo e luminoso. So che lui ritornerà nei miei sogni e anche che riapparirà durante il mio cammino e nella mia vita…
Mi chiedo che cosa posso fare di buono per Stéphanie per aiutarla a intraprendere questo lungo sentiero. Mi sento un po’ la sua guida e non so se sono in grado di esserlo.
Tra poco giungiamo a Eunate…



                                      Stephanie si avvicina ad Eunate. Non c’è nessuno oltre a noi.


ƒm

La chiesa ottogonale di Eunate mi impressiona moltissimo! Tutto ruota così vertiginosamente intorno ad un centro possente e tranquillo…
Fuori soffia un vento impetuoso mentre io e Stéph ci accingiamo ad entrare.
Ci è stato detto che bisogna osservare un certo cerimoniale prima di entrare in questo luogo sacro e ci atteniamo con piacere… Bisogna fare tre giri in senso antiorario fuori dal colonnato circolare e poi tre giri all’interno delle colonne. Senza pretese di comprendere altri significati esoterici non alla mia portata osservo che questo rituale è un’occasione per prenderci e darci il tempo di entrare non troppo spensieratamente in un luogo così particolare.
Mi fermo ad osservare le finestre… Di che materiale sono fatte? Marmo bianco che lascia passare la luce in trasparenza?
Sui lati superiori della porta da cui scegliamo di entrare - non è l’unica - due figure antropomorfe dai lineamenti terribili e mostruosi ci fissano con le fauci minacciose e gli occhi stralunati. Sono scavate nella pietra e si confondono con essa.
All’interno tutto è immerso in una quieta penombra e l’atmosfera è calda. Invita alla meditazione e al raccoglimento. La cupola centrale è grande e accogliente, le travi che la sostengono descrivono otto fortissime direzioni: le otto direzioni dell’Universo? La vergine Maria dietro all’altare, con Yeshua “Ego Sum” è davvero semplice e pura…
Siamo soli per tutto il tempo di questa sosta un po’ mistica e carica di storia.

mercoledì 22 aprile 2015

Il mio Cammino di Santiago (4)



                                     

                                                       Chi di noi due è l’albero secco? E chi vive?

16 ottobre

Sto scrivendo da Ruesta e sono le 6.09 del pomeriggio. Non so perché ma ho voglia di annotare l’ora. Stamattina ho lasciato Arres insieme ad Antonio, un catalano di Barcellona nato però a Caracas. È una persona mite e gentile che desidera camminare tranquillamente e senza fretta. Parliamo in spagnolo, lui me lo insegna ed io vorrei impararlo almeno un po’. Marciamo con la pioggia in un paesaggio collinoso ma quasi desertico con un lungo sentiero che si snoda davanti a noi a perdita di vista. Questi sono i primi giorni di cammino di Antonio, ha le gambe - las piernas - che gli fanno male. È quindi inutile forzare e procediamo senza pensare troppo all’orario di arrivo. Lui si fermerà ad Artieda (dopo 18 km) mentre io dopo un leggero pranzo continuerò nel pomeriggio fino a Ruesta (28,5 km). Il barro, fango argilloso, si attacca alle scarpe raddoppiando il peso dei nostri piedi e lo sforzo per alzarli. Ridiamo evocando gli evasi che fuggono con le catene ai piedi. Il paesaggio ed il clima si addicono ad uno scenario di questo genere. Dune di sabbia grigia e scura, ondulate e rotonde, scavate ed erose dall’acqua. Incontriamo una volpe, el sarro. 
Ad Artieda ci accoglie Raquel, giovane e allegra che parla veloce veloce ma con un bel accento. Non è molto bella ma attira molto e in modo naturale. Mi sembra di piacerle e anche lei mi piace ma non tardo ad accorgermi che in fondo alla stanza c’è anche un giovane ombroso e un po’ strano che mi guarda. Ha i riccioli bruni e il corpo ben piantato e robusto. Credo che sia il ragazzo di Raquel, ci manca solo di scatenare la gelosia di uno spagnolo del genere… Meglio proseguire per il mio cammino! Prima di partire però lei mi chiama: “Giovanni!”. Dice che un italiano che ha conosciuto le ha insegnato questa frase, che pronuncia in italiano: “Sii te stessa e nessuno potrà mai dirti che sbagli nel farlo”. Penso che le spedirò una cartolina nei prossimi giorni scrivendole: “Sii te stessa e Dio continuerà a risplendere gioiosamente nel tuo cuore”.
Insieme ad Antonio, prima di lasciarci, siamo stati nel piccolo fumoso bar di Artieda, pieno di giovani con orecchini e capelli lunghi. Ci siamo stati un’ora e questo è l’unico ritrovo del villaggio. Si entra da un portoncino di legno e fuori non  c’è nemmeno un’insegna. Gli abitanti di qui sembrano un po’ montanari e sospettosi ma non sono antipatici. L’atmosfera è strana e particolare, niente a che vedere con la Francia o l’Italia, un po’ esotica per me. Sono contento di essere qui. Il villaggio conta poche case. I villaggi, in questa regione sono tutti in altura e dominano delle valli solitarie, selvatiche e quasi spoglie. C’è il senso dello spazio.
Lascio Artieda alle 15 e cammino molto speditamente sotto alla pioggia battente che ormai non mi spaventa più. Intorno alle 17 arrivo in un luogo sacro e mistico. Il luogo che finora, da questo punto di vista, mi ha colpito di più. È l’Ermita de San Juan Bautista. Una chiesetta antica di pietre di cui rimane intatto solo l’abside e i muri perimetrali. È circondata da i pini che diffondono un profumo tipico che mi fa pensare a Saint Michel du Var. Al posto del tetto, crollato chissà quando, è stata posta una provvisoria (?) tettoia metallica che protegge dalla pioggia chi entra nell’Ermita. L’ingresso è costituito da uno splendido portale ad arco. All’interno tutto è quasi magico anche se da fuori proprio non si direbbe. I pellegrini e i passanti hanno impilato tanti sassi grandi, piccoli e piccolissimi. In fondo, sotto l’abside, sta una solida croce costruita con tre grandi pietre, poi ci sono piccoli altari e, sul suolo, un crocefisso commovente tutti costruiti di sassi e di pietre. Gesù ha delle lunghe braccia molto accoglienti. Le piccole pietre colorate mettono in risalto tanti dettagli del suo corpo. Che bello tutto questo! Cammino tra i sassi incantato. Anch’io cerco delle pietre fuori e in mezz’oretta ne porto dentro diverse. Costruisco per terra nel centro della chiesa, a sinistra dell’ingresso, una grande croce ortodossa che oltre al tratto verticale e quello orizzontale delle croci comuni ha un altro tratto orizzontale più piccolo in basso che ha la caratteristica di pendere verso destra (destra per chi l’osserva). Pende verso il cuore verso cui tutto finisce per tendere. Lì ho posizionato una pietra rossa.
Ora scopriamo l’Albergue di Ruesta. C’è del mistero, qui…



                                Il portale d’ingresso dell’Ermita de San Juan Bautista con la mia croce ortodossa.


17 ottobre

Me ne sono accorto questa mattina mezzora dopo la partenza da Ruesta…
Ho lasciato sul letto a castello la mia conchiglia! Non l’avevo da molto ma è stato immediato il senso di mancanza e di perdita che è ho provato. Chissà, forse Antonio la riconoscerà e potrà prenderla. L’idea che la potrà tenere lui mi consola un po’. Come ci si affeziona alle cose e agli oggetti… io ne so qualcosa perché ho passato la vita a caricarli di simboli, di ki e di valore affettivo. Per fortuna poi le cose si rompono e si perdono, sgravandoci così di un peso eccessivo. Questa conchiglia è la prima cosa che perdo in questo cammino e come simbolo non è male. Ne cercherò un’altra da appendere allo zaino?
Ora voglio parlare subito del piccolo miracolo di ieri. Sembra proprio che i miracoli si ripetano senza sosta. O forse è soltanto che si impara a dare un altro valore alle cose e agli incontri? Che si è un po’ più aperti rispetto alle cose che ci accadono e che si finisce per apprezzarle di più?
Avevo appena finito di scrivere e riposto il mio piccolo quaderno nello zaino. Stavo in una stanza spoglia con i muri di pietra gialla, una panca e un tavolo di pietra. Una specie di anticamera di attesa per chi come me arriva troppo presto e trova ancora chiuso l’ostello dove deve passare la notte. Nessun segno di persona, un silenzio di tomba rotto solo dal suono della pioggia che continuava a cadere incessante. Mi sono guardato intorno per ingannare il tempo e ho visto una piccola porta di legno in fondo alla stanza. L’ho aperta, dava su un’altra stanzetta che conteneva solo due cose. Una sedia di legno e sulla sedia un rotolo di fogli di carta vetrata! Proprio quella che cercavo per levigare la mia pietra… Ne ho presi tre fogli senza nessun senso di colpa per il fatto che mi impossessavo di qualcosa che non mi apparteneva. Ero stupito, quasi non ci potevo credere che in quel posto dove non c’era quasi nulla trovavo proprio quello che cercavo. Tuttavia qualcosa in me mi diceva che in fondo non c’era proprio nulla di strano e che quei fogli di carta abrasiva non erano lì per caso e aspettavano proprio me. Qualcuno pensa a noi… bella sensazione.
 
Ruesta è un paese diroccato che sembra sulle prime abitato da fantasmi. Poi si scopre che è abitato da una comunità di sindacalisti anarchici che, con l’aiuto di giovani volontari, lo stanno restaurando. È tutto sommato un luogo strano, popolato da persone piuttosto chiuse e talvolta sgradevoli. Penso per esempio a un grasso signore dalla tosse invadente e ostentata che ho incrociato stanotte nei bagni che già di per sé sono stretti e poco accoglienti. Ha fatto i suoi bisogni evacuando di tutto e da tutte le parti in modo rumoroso e volgare proprio a fianco di me che cercavo di fare una doccia tranquillo. Era l’una di notte. Stamattina, alle 6.30, mi sono rifugiato nel bagno delle donne per evitare di incontrarlo.
Ieri sera ho incontrato due amanti lesbiche basche e ho cenato insieme a loro. Sono qui per qualche giorno di vacanza e hanno nomi baschi difficili da ricordare. Una si chiama qualcosa come Estivalis che abbreviato suona Esti, ha un profumo che conosco bene, gli occhi vivi e molto sentimento. L’altra del cui nome ricordo solo che comincia con la G. è più dura e maschile ma comunque aperta e curiosa. Tra di noi la corrente è passata forte e mi hanno chiesto molte cose del mio viaggio. Così, bevendo rhum e fumando marijuana, abbiamo parlato di cose semplici e complicate in modo molto piacevole. Tema centrale della serata: el corazon. Da qualche parte sapevo che a Ruesta avrei incontrato delle donne, ne sentivo già da prima il profumo… E infatti…
Nella notte, sul letto su cui ho lasciato poi la conchiglia, ho fatto uno di quei sogni che non si dimenticano. C’erano grandi donne africane nere, grasse e ridenti. Con una di loro ho fatto l’amore ma soprattutto sono rimasto incantato a guardarle la vagina che in realtà era una specie di possente cratere vulcanico. Che eruttava con tanto di lapilli, lava e lingue di fuoco!

Ora sono a Sanguesa in Navarra.
Sedute davanti a me ci sono tre belle ragazze giovani e intelligenti che consumano la loro cena parlando animatamente. Non ci conosciamo ancora, ascolto i loro discorsi in inglese e tra poco faremo amicizia. È così facile qui!
Cammineremo insieme domani?

Due di loro sono svizzere, Silvia e Andrea, l’altra è un’olandese con i capelli rossi e le lentiggini.
Non posso capacitarmi di quanto sia bello incontrare tante persone diverse.
Questo cammino è contrassegnato da picchi di entusiasmo, come ieri sera, a cui fanno poi seguito delle discese che però non sono mai brutali. C’è sempre spazio per il nuovo, che si ripresenta continuamente, e il tempo si adatta ai nostri bisogni non noi ai bisogni del tempo. Tutto scorre in modo vitale.

domenica 12 aprile 2015

Credo davvero..

"Credo davvero che il movimento rigeneratore (katsugen undo) e l'aikido della Respirazione siano accessibili a tutti. Non sono pratiche per orientalisti, marzialisti o persone piene di talento nelle discipline sportive o energetiche. Vorrei vedere al dojo sempre più persone semplici, accompagnate da figli o genitori, dalla vicina della porta accanto o dalla nonna che si sente un po' sola. Ci vorrà ancora un po' di tempo, forse, ma prima o poi tutte queste persone verranno ad Akeleinaa. E' il motivo per cui ho creato questo luogo. Quello che pratichiamo insieme non è in alcun modo una tecnica. E' solo la riscoperta di come la vitalità si esprime attraverso il nostro movimento naturale. Questa vitalità si esprime in ciascuno di noi in modo unico e i movimenti che possono ridarci equilibrio e piacere di vivere non possono essere insegnati: nascono da dentro, spontaneamente. Riappropriarsi di questa consapevolezza, quella che tutti i bambini hanno, significa anche poter apprezzare pienamente la nostra libertà interiore e saperla raggiungibile".