La Meseta, deserto interiore che mi ha procurato infinito piacere
3 novembre
Il Deserto.
Giorni fa pensavo che non avrei
parlato invece ha finito per tacere solo la mia penna.
Sarà impossibile oggi scrivere tutto
ciò che è accaduto in questi ultimi giorni… Lo farò saltando avanti e indietro
nel tempo, rievocando momenti significativi ed emozioni che però usciranno
fatalmente dalla loro collocazione temporale in questo lungo viaggio… Molte
cose cominciano a confondersi e altre a lasciare la presa. Tutto sommato, una
sensazione gradevolissima…
m
Ricordo una grande salita subito
dopo Burgos, in un territorio burbero e desertico.
I colori sono quelli della terra
rossiccia, della paglia secca e gialla nei campi e del sentiero sterrato e
bianco.
Quella salita che si inerpica sul
piccolo monte arido la si vede arrivare da lontano. Una nebbiolina – o delle
nuvolette bianche – nascondono quella che sembra essere la cima rotonda del
monticello. In realtà scoprirò poi che si tratterà di un piccolo altopiano
seguito poi da una lunga e dolce discesa. vedo davanti a me tanti piccoli omini
che procedono lentamente distanti uno dall’altro. Salgono pian piano seguendo
il lungo sentiero che si snoda come un serpente verso la cima. Uno dopo l’altro
raggiungono le nebbie e scompaiono inghiottiti dal mistero. È una scena
dantesca di cui mi sentivo parte integrante e pensavo con piacere che dopo
pochi minuti anche io sarei stato guidato da un inesorabile destino dentro
quella foschia e che il paesaggio fin lì nascosto si sarebbe svelato ai miei
occhi. Pensavo a “La Nube della Non-Conoscenza” scritta da un anonimo monaco
del medio-evo e non avevo dubbi che il paesaggio che vedevano i miei occhi
potesse esserne un’illustrazione ideale.
Mi sono sentito anch’io omino
piccolo piccolo legato ad altri esseri umani in un’unica catena viva e in
perpetuo movimento. Le nostre persone e le nostre individualità perdono di
rilevanza e di significato. Molto più grande di noi è l’onda che ci unisce, ci porta
e ci accompagna…
Le
kernes nel deserto ci segnalano che siamo sulla buona strada.
Laggiù tre piccoli
pellegrini mi precedono…
L’altro ieri sera sono svenuto.
Credo che sia la prima volta che mi
accade.
Non ho perso completamente la
coscienza, ne è rimasta appena un filo.
Sentivo le voci che mi chiamavano da
fuori
e due mani forti che mi tenevano i
tendini di Achille.
Erano le mani di Silke, un angelo
svizzero, che silenziosa è venuta
e mi ha permesso di tener sveglia
l’attenzione nei piedi.
Solo il suo intervento
provvidenziale mi ha tenuto di qua,
se avessi perso coscienza la
situazione si sarebbe complicata molto, almeno credo.
Avevo camminato tanto, tanto, 38 km…
Un passo dietro l’altro, un avanzare
infinito e solitario nel sentiero sempre dritto che sembra non arrivare da
nessuna parte.
Arrivato nel piccolo rifugio di
Calzadilla ero fiero di me e soddisfatto.
Come tutte le sere ho lavato i
panni, questa volta fuori all’aperto.
Calando il sole è scesa la
temperatura e non ho sentito il vento gelido perché ero felice.
Ho preso freddo.
In un piccolo ristorante ho mangiato
e bevuto tanto, anche se non più del solito.
Insieme al dessert, all’improvviso
sono arrivati il sudore freddo e la nausea.
Credo di esser sbiancato in volto e
mi sono alzato dicendo ai miei commensali che rientravo…
Ho giusto avuto il tempo di cadere,
accompagnato dolcemente a terra da non so chi.
Ricordo che stavo disteso sul suolo
freddo con la sensazione del corpo che si riposava.
Ci si vede e ci si sente da fuori in
quei momenti e da un altro fuori ancora parlano e si muovono voci e persone che
vedi in una indistinta foschia. Non sentivo agitazione e percepivo forte la
presenza tranquilla di Silke. Su di lei ho preso appoggio e dopo qualche minuto
ho potuto sedermi e lasciar scattare un po’ il movimento della testa. Siamo
rimasti così qualche tempo, con le sue mani un po’ dure ma senza idee sulla mia
schiena ed io che pian piano riemergevo tranquillizzando il ristoratore che non
ha dovuto chiamare soccorso. Non era comunque il primo caso di “congestione di
pellegrino” che vedeva e l’esperienza, si sa, ti fa affrontare ciò che accade
con meno preoccupazione.
Sono poi riuscito ad alzarmi mentre
Silke si è dileguata nel nulla senza che potessi nemmeno dirle grazie.
Accompagnato e sostenuto da altri due angeli spagnoli – Antonio a sinistra e
Roberto a destra – siamo usciti. Era una bella sensazione sentire la presa
delle loro braccia forti e dopo qualche passo, con l’aria fresca della sera che
mi riempiva i polmoni, di colpo mi sono risvegliato davvero.
Nella notte spagnola, camminare nel
buio di una stradina semi deserta verso l’accogliente albergue che promette
tutto il riposo necessario, portato a piene mani da due angeli generosi. Cosa
c’è di più bello?
Entrato nel mio letto non ci ho
messo molto ad addormentarmi profondamente, ricordo solo il volto del barbuto
Philippe che mi porta l’acqua e la pone di fianco al mio letto…
La febbre alta della sera alla
mattina è completamente sparita. Risvegliandomi mi sento pienamente ristabilito
e come se nulla fosse accaduto posso riprendere il mio cammino in piena forma.
Uno svenimento può essere un punto
di arrivo ma anche un inizio e un passaggio…
m
Philippe
Una piccola presentazione tutta per
lui Philippe la merita. L’ho visto per la prima volta sotto le docce
dell’albergue di Estella e avevamo scambiato due parole. È francese, ha la
barba nera, i capelli un po’ arruffati e 54 anni. Fisicamente è il ritratto
sputato del Capitano Adoc – si chiama così? – del fumetto di Tintin. Vederlo
camminare è straordinario: porta uno zaino immenso e regolato malissimo che
deve pesargli in modo penoso. Ho provato a dargli qualche consiglio, che spero
potrà tornargli utile, sul modo di portarlo senza compromettersi troppo spalle
e schiena. La sua andatura è poi condizionata da un grave problema alle vene
delle gambe che sono state operate e oggi sono un po’ deformate. Risultato, il
suo sembra proprio il deambulare di una persona ebbra, ciondola a destra e a
sinistra seguendo delle traiettorie ondulate che poco hanno a che spartire con
la linea retta. Vederlo avanzare nel vento finisce per diventare commovente e
sono pieno di ammirazione quando vengo a sapere che il suo cammino è cominciato
ad Arles – il cammino piemontese – molti km prima del mio punto di partenza.
Abbiamo ovviamente ritmi molto differenti ma ciò non impedisce che diverse
volte in questi giorni ci si sia incontrati e si siano potute scambiare parole
gradevoli, del cibo e degli incoraggiamenti.
m
La giornata di cammino che è seguita
allo svenimento è stata assolutamente normale e senza intoppi o fatiche
particolari. Ho camminato senza forzare e con un po’ di vigilanza ma nessun
segno particolare del mio corpo mi ha messo in allerta. Lungo sentiero diritto
a tratti costeggiato da campi arsi dal sole in cui le balle di fieno dorate
contrastano con il cielo terso blu e le sue nuvole bianche spostate dal vento.
Non sono che un’ombra in questo grande mondo.
Avanzo tranquillamente e mi guardo i
piedi che sembrano andare da soli. Sentire il suono dei loro passi e vederli in
questa costante e quieta attività mi da un gran senso di pace e di benessere.
Chi sente per una volta questo piacere che viene da dentro ha l’impressione che
non potrà mai più perderlo e che nei momenti di sconforto che dovessero un
giorno sopraggiungere basterà uscire e camminare, camminare, camminare… Non c’è
equilibrio più profondo di quello che ci proviene da questo naturale modo di
spostarsi. Il corpo vive, consuma energie vecchie e si nutre di nuove, la mente
lascia la presa e perfino il pensiero diventa giovane, creativo e vivace. Da
consigliare a filosofi e scrittori che non escono mai dalle mura protette della
loro casa-prigione…
Ecco sì, in questo giorno di
“convalescenza” un desiderio lo avrei… è semplice ma del tutto irrealistico in
questa landa sperduta e quasi disabitata. Eppure, ditemi voi se non è vero che
lassù - o laggiù, comunque da qualche parte – qualcuno non ci ascolta e ama
esaudire le nostre richieste sensate e sincere… Sogno un bagno caldo e il bagno
caldo ottengo, in condizioni del tutto particolari e inaspettate!
A Bercianos, in un rifugio semi
abbandonato in cui, insieme ai pochi pellegrini con cui arrivo, non incontriamo
anima viva trovo una vera sala da bagno con una vasca rosa! Proprio come quella
che avevo a Venezia ai tempi dell’università e, come allora, mi trovo a
scaldare l’acqua nei pentoloni, che porto fumanti da una stanza all’altra.
Nella vasca, non usata da chissà quanto tempo, non c’è nemmeno il tappo e devo
inventarne uno riempiendo il fondo di un sacchetto di plastica con dell’argilla
presa nel campo che sta fuori. Il bagno riesce bene, mi rilassa e mi rigenera
mentre i miei compagni di ventura mi guardano uscire dalla stanza un po’
arrossato e contento, sono piuttosto colpiti ma non osano concedersi lo stesso
piacere.
Nel rifugio incontro Rebecca
Maddalena, una tedesca bruna, che cammina da sola perché lei e il suo compagno
hanno un ritmo di cammino troppo differente l’una dall’altro. Hanno progettato
di ritrovarsi tra una settimana. Chissà, in una settimana di cammino succedono
tante cose… È difficile camminare in coppia e la loro decisione non mi
sorprende troppo. La sera ceniamo insieme. Tra gli altri c’è anche Philippe che
è un po’ troppo preoccupato per il mio stato di salute. La cosa mi irrita e per
un motivo futile - una discussione sul vino e sui francesi - finiamo per
urtarci e litigare. Mi pento quasi subito di alcune battute un po’ ruvide che
mi sfuggono ma ormai è troppo tardi e il nostro rapporto si deteriora.
Ora un’altra bella storia semplice e
emblematica di questo cammino.
Prima di Bercianos raccolgo sulla
strada un berretto verde. A chi potrà appartenere? Decido di portarlo con me
per qualcuno che
sicuramente sta camminando più avanti.
Lo incontrerò? Quando giungo a
Bercianos, la prima cosa che faccio è di chiedere a Rebecca se appartenga a
lei. Risponde di no ma ci riflette un po’ e poi esclama: “Credo di sapere di
chi sia! È di Jennifer, un’americana dai capelli rossi che cammina davanti
a noi.” La sera do il berretto a
Tacio che viaggia in bici e avanza più velocemente di noi. Gli dico: “Se
incontri un’americana che si chiama Jennifer dille che un italiano dietro di
lei… “. Per strada il giorno dopo lui la incontra effettivamente e le consegna
il berretto con il misterioso messaggio. Questo avviene in un momento in cui
lei si sente triste e sola. Un po’ scoraggiata. Mangiano insieme e lei non
riesce a capacitarsi di come “lo sconosciuto italiano” possa sapere il suo nome
e sapere che il berretto sia suo… Decide così di fermarsi a Mansilla invece di
continuare fino a Léon ed ecco che finiamo per incontrarci. Tra poco, nella
cucina di un piccolo albergue, mangeremo insieme la paëlla preparata dagli angeli spagnoli
Roberto e Angel. C’è anche Rebecca, con cui ho camminato tutto il giorno lungo
un sentiero senza una curva, immersi in una densa bruma ormai invernale.
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Incredibile cammino,
più proseguo e più mi sembra di
perdere il filo.
Il filo però c’è, è quello che lega
noi tutti pellegrini.
Un solidissimo filo di ki.
Prima di me, infiniti sono quelli
che mi precedono.
Dopo di me, infiniti sono quelli che
mi seguono.
È questa l’unica cosa che possiamo
fare camminando: cercare.
Ciò che continuiamo a cercare, più o
meno consapevolmente.
è il nostro giusto posto in questa
immensa catena umana
fatta di persone ordinarie eppure
straordinarie,
animate tutte da una vera spinta
interiore.
C’è il tempo per conoscersi, per
incontrarsi e rincontrarsi.
Per perdersi e per ritrovarsi.
Corriamo dietro a qualcuno che ci attende là davanti,
rallentiamo per attendere qualcuno che ci insegue.
Lascio segnali di pietra per chi
verrà dopo di me.
Scruto, guardo ammirato e apprezzo i
segni e i segnali lasciati da chi mi precede.
Sono segnali di pietra, di legno o
di ki.
Oggi ho lasciato una nuova croce
ortodossa di pietra sul bordo del sentiero.
Ho scritto anche un messaggio: “Hi
Stéph”.
Ora che non ci vediamo più voglio
incoraggiarla nel suo cammino che forse è solitario.