domenica 9 ottobre 2016

Closlieu, un nuovo equilibrio nelle relazioni

 



Closlieu, un nuovo equilibrio nelle relazioni



Il Gioco del Dipingere è un’attività individuale che si svolge in uno spazio collettivo.

Lo spazio personale - il foglio su cui ciascuno dipinge, ciò che dipinge e come lo dipinge - vengono completamente rispettati e protetti. Il praticien-servente veglia affinché non ci sia alcun tipo di condizionamento o di intervento che possa interferire in questo spazio personale.

Tutto il resto è collettivo: tavolozza, colori, pennelli appartengono a tutti e da tutti sono usati con attenzione e cura.

Nel Closlieu, si parla di tutto tranne che di ciò che si dipinge.

A seconda dei momenti, ci può essere grande animazione o quieto silenzio, naturalmente, come nella vita di tutti i giorni. Nell’andirivieni tra tavolozza (strumento collettivo) e il proprio foglio (spazio individuale) c’è chi rimane in silenziosa concentrazione, chi canta tutto preso da ciò che sta dipingendo, chi chiacchiera allegramente con il proprio vicino... Insomma, non si è per niente soli ma, non essendoci alcuna comparazione, competizione o giudizio rispetto a ciò che si dipinge, non si ha nessun bisogno di proteggersi da ingerenze esterne. Ci si sente semplicemente a proprio agio, in un luogo che ci accoglie nella nostra unicità e che al contempo ci rispetta senza obbligarci a conformarci a modelli che non ci corrispondono.

La comunità che viene a crearsi in un Closlieu è particolare e unica; l’equilibrio dei rapporti umani - anche tra persone che si conoscono al di fuori - è un equilibrio nuovo. Nel Closlieu non ci sono bambini e adulti, figli e genitori, maschi e femmine. Ci sono solo persone, tutte sullo stesso piano, senza livelli. Individualità che sono in quel luogo con un unico scopo: giocare a dipingere. Ruolo del praticien-servente è quello di far sì che questo gioco possa svolgersi con la massima pienezza e il massimo piacere possibile. 

Nel Closlieu, durante l’attività, non entrano estranei o visitatori. Chi è dentro, a parte il praticien che partecipa per servire al gioco, vi è soltanto per dipingere. Genitori e figli (a condizione che comincino insieme fin dal primo giorno) possono dipingere contemporaneamente nello stesso gruppo. Ma la mamma, o il papà, non saranno e non faranno più “la mamma” o “il papà”, intervenendo, facilitando o.. complicando le relazioni dei propri figli con il Closlieu. Saranno lì esclusivamente per dipingere in prima persona e per riscoprire il grande piacere che proviene dal tracciare liberi e senza preoccupazioni di riuscita. Lasceranno al praticien-servente, e alla sua esperienza, la facoltà di intervenire o di non intervenire a seconda del bisogno.

Il mio cammino di santiago (9)

                                                  La Meseta, deserto interiore che mi ha procurato infinito piacere

3 novembre

Il Deserto.

Giorni fa pensavo che non avrei parlato invece ha finito per tacere solo la mia penna.
Sarà impossibile oggi scrivere tutto ciò che è accaduto in questi ultimi giorni… Lo farò saltando avanti e indietro nel tempo, rievocando momenti significativi ed emozioni che però usciranno fatalmente dalla loro collocazione temporale in questo lungo viaggio… Molte cose cominciano a confondersi e altre a lasciare la presa. Tutto sommato, una sensazione gradevolissima…

ƒm

Ricordo una grande salita subito dopo Burgos, in un territorio burbero e desertico.
I colori sono quelli della terra rossiccia, della paglia secca e gialla nei campi e del sentiero sterrato e bianco.
Quella salita che si inerpica sul piccolo monte arido la si vede arrivare da lontano. Una nebbiolina – o delle nuvolette bianche – nascondono quella che sembra essere la cima rotonda del monticello. In realtà scoprirò poi che si tratterà di un piccolo altopiano seguito poi da una lunga e dolce discesa. vedo davanti a me tanti piccoli omini che procedono lentamente distanti uno dall’altro. Salgono pian piano seguendo il lungo sentiero che si snoda come un serpente verso la cima. Uno dopo l’altro raggiungono le nebbie e scompaiono inghiottiti dal mistero. È una scena dantesca di cui mi sentivo parte integrante e pensavo con piacere che dopo pochi minuti anche io sarei stato guidato da un inesorabile destino dentro quella foschia e che il paesaggio fin lì nascosto si sarebbe svelato ai miei occhi. Pensavo a “La Nube della Non-Conoscenza” scritta da un anonimo monaco del medio-evo e non avevo dubbi che il paesaggio che vedevano i miei occhi potesse esserne un’illustrazione ideale.
Mi sono sentito anch’io omino piccolo piccolo legato ad altri esseri umani in un’unica catena viva e in perpetuo movimento. Le nostre persone e le nostre individualità perdono di rilevanza e di significato. Molto più grande di noi è l’onda che ci unisce, ci porta e ci accompagna…



                     Le kernes nel deserto ci segnalano che siamo sulla buona strada. 
                     Laggiù tre piccoli pellegrini mi precedono…


L’altro ieri sera sono svenuto.
Credo che sia la prima volta che mi accade.
Non ho perso completamente la coscienza, ne è rimasta appena un filo.
Sentivo le voci che mi chiamavano da fuori
e due mani forti che mi tenevano i tendini di Achille.
Erano le mani di Silke, un angelo svizzero, che silenziosa è venuta
e mi ha permesso di tener sveglia l’attenzione nei piedi.
Solo il suo intervento provvidenziale mi ha tenuto di qua,
se avessi perso coscienza la situazione si sarebbe complicata molto, almeno credo.
Avevo camminato tanto, tanto, 38 km…
Un passo dietro l’altro, un avanzare infinito e solitario nel sentiero sempre dritto che sembra non arrivare da nessuna parte.
Arrivato nel piccolo rifugio di Calzadilla ero fiero di me e soddisfatto.
Come tutte le sere ho lavato i panni, questa volta fuori all’aperto.
Calando il sole è scesa la temperatura e non ho sentito il vento gelido perché ero felice.
Ho preso freddo.
In un piccolo ristorante ho mangiato e bevuto tanto, anche se non più del solito.
Insieme al dessert, all’improvviso sono arrivati il sudore freddo e la nausea.
Credo di esser sbiancato in volto e mi sono alzato dicendo ai miei commensali che rientravo…
Ho giusto avuto il tempo di cadere, accompagnato dolcemente a terra da non so chi.
Ricordo che stavo disteso sul suolo freddo con la sensazione del corpo che si riposava.
Ci si vede e ci si sente da fuori in quei momenti e da un altro fuori ancora parlano e si muovono voci e persone che vedi in una indistinta foschia. Non sentivo agitazione e percepivo forte la presenza tranquilla di Silke. Su di lei ho preso appoggio e dopo qualche minuto ho potuto sedermi e lasciar scattare un po’ il movimento della testa. Siamo rimasti così qualche tempo, con le sue mani un po’ dure ma senza idee sulla mia schiena ed io che pian piano riemergevo tranquillizzando il ristoratore che non ha dovuto chiamare soccorso. Non era comunque il primo caso di “congestione di pellegrino” che vedeva e l’esperienza, si sa, ti fa affrontare ciò che accade con meno preoccupazione.
Sono poi riuscito ad alzarmi mentre Silke si è dileguata nel nulla senza che potessi nemmeno dirle grazie. Accompagnato e sostenuto da altri due angeli spagnoli – Antonio a sinistra e Roberto a destra – siamo usciti. Era una bella sensazione sentire la presa delle loro braccia forti e dopo qualche passo, con l’aria fresca della sera che mi riempiva i polmoni, di colpo mi sono risvegliato davvero.
Nella notte spagnola, camminare nel buio di una stradina semi deserta verso l’accogliente albergue che promette tutto il riposo necessario, portato a piene mani da due angeli generosi. Cosa c’è di più bello?
Entrato nel mio letto non ci ho messo molto ad addormentarmi profondamente, ricordo solo il volto del barbuto Philippe che mi porta l’acqua e la pone di fianco al mio letto…
La febbre alta della sera alla mattina è completamente sparita. Risvegliandomi mi sento pienamente ristabilito e come se nulla fosse accaduto posso riprendere il mio cammino in piena forma.
Uno svenimento può essere un punto di arrivo ma anche un inizio e un passaggio…

ƒm


 Philippe

Una piccola presentazione tutta per lui Philippe la merita. L’ho visto per la prima volta sotto le docce dell’albergue di Estella e avevamo scambiato due parole. È francese, ha la barba nera, i capelli un po’ arruffati e 54 anni. Fisicamente è il ritratto sputato del Capitano Adoc – si chiama così? – del fumetto di Tintin. Vederlo camminare è straordinario: porta uno zaino immenso e regolato malissimo che deve pesargli in modo penoso. Ho provato a dargli qualche consiglio, che spero potrà tornargli utile, sul modo di portarlo senza compromettersi troppo spalle e schiena. La sua andatura è poi condizionata da un grave problema alle vene delle gambe che sono state operate e oggi sono un po’ deformate. Risultato, il suo sembra proprio il deambulare di una persona ebbra, ciondola a destra e a sinistra seguendo delle traiettorie ondulate che poco hanno a che spartire con la linea retta. Vederlo avanzare nel vento finisce per diventare commovente e sono pieno di ammirazione quando vengo a sapere che il suo cammino è cominciato ad Arles – il cammino piemontese – molti km prima del mio punto di partenza. Abbiamo ovviamente ritmi molto differenti ma ciò non impedisce che diverse volte in questi giorni ci si sia incontrati e si siano potute scambiare parole gradevoli, del cibo e degli incoraggiamenti.

ƒm

La giornata di cammino che è seguita allo svenimento è stata assolutamente normale e senza intoppi o fatiche particolari. Ho camminato senza forzare e con un po’ di vigilanza ma nessun segno particolare del mio corpo mi ha messo in allerta. Lungo sentiero diritto a tratti costeggiato da campi arsi dal sole in cui le balle di fieno dorate contrastano con il cielo terso blu e le sue nuvole bianche spostate dal vento.



                             Non sono che un’ombra in questo grande mondo.



Avanzo tranquillamente e mi guardo i piedi che sembrano andare da soli. Sentire il suono dei loro passi e vederli in questa costante e quieta attività mi da un gran senso di pace e di benessere. Chi sente per una volta questo piacere che viene da dentro ha l’impressione che non potrà mai più perderlo e che nei momenti di sconforto che dovessero un giorno sopraggiungere basterà uscire e camminare, camminare, camminare… Non c’è equilibrio più profondo di quello che ci proviene da questo naturale modo di spostarsi. Il corpo vive, consuma energie vecchie e si nutre di nuove, la mente lascia la presa e perfino il pensiero diventa giovane, creativo e vivace. Da consigliare a filosofi e scrittori che non escono mai dalle mura protette della loro casa-prigione…

Ecco sì, in questo giorno di “convalescenza” un desiderio lo avrei… è semplice ma del tutto irrealistico in questa landa sperduta e quasi disabitata. Eppure, ditemi voi se non è vero che lassù - o laggiù, comunque da qualche parte – qualcuno non ci ascolta e ama esaudire le nostre richieste sensate e sincere… Sogno un bagno caldo e il bagno caldo ottengo, in condizioni del tutto particolari e inaspettate!

A Bercianos, in un rifugio semi abbandonato in cui, insieme ai pochi pellegrini con cui arrivo, non incontriamo anima viva trovo una vera sala da bagno con una vasca rosa! Proprio come quella che avevo a Venezia ai tempi dell’università e, come allora, mi trovo a scaldare l’acqua nei pentoloni, che porto fumanti da una stanza all’altra. Nella vasca, non usata da chissà quanto tempo, non c’è nemmeno il tappo e devo inventarne uno riempiendo il fondo di un sacchetto di plastica con dell’argilla presa nel campo che sta fuori. Il bagno riesce bene, mi rilassa e mi rigenera mentre i miei compagni di ventura mi guardano uscire dalla stanza un po’ arrossato e contento, sono piuttosto colpiti ma non osano concedersi lo stesso piacere.

Nel rifugio incontro Rebecca Maddalena, una tedesca bruna, che cammina da sola perché lei e il suo compagno hanno un ritmo di cammino troppo differente l’una dall’altro. Hanno progettato di ritrovarsi tra una settimana. Chissà, in una settimana di cammino succedono tante cose… È difficile camminare in coppia e la loro decisione non mi sorprende troppo. La sera ceniamo insieme. Tra gli altri c’è anche Philippe che è un po’ troppo preoccupato per il mio stato di salute. La cosa mi irrita e per un motivo futile - una discussione sul vino e sui francesi - finiamo per urtarci e litigare. Mi pento quasi subito di alcune battute un po’ ruvide che mi sfuggono ma ormai è troppo tardi e il nostro rapporto si deteriora.

Ora un’altra bella storia semplice e emblematica di questo cammino.
Prima di Bercianos raccolgo sulla strada un berretto verde. A chi potrà appartenere? Decido di portarlo con me per qualcuno che sicuramente sta camminando più avanti.
Lo incontrerò? Quando giungo a Bercianos, la prima cosa che faccio è di chiedere a Rebecca se appartenga a lei. Risponde di no ma ci riflette un po’ e poi esclama: “Credo di sapere di chi sia! È di Jennifer, un’americana dai capelli rossi che cammina davanti a  noi.” La sera do il berretto a Tacio che viaggia in bici e avanza più velocemente di noi. Gli dico: “Se incontri un’americana che si chiama Jennifer dille che un italiano dietro di lei… “. Per strada il giorno dopo lui la incontra effettivamente e le consegna il berretto con il misterioso messaggio. Questo avviene in un momento in cui lei si sente triste e sola. Un po’ scoraggiata. Mangiano insieme e lei non riesce a capacitarsi di come “lo sconosciuto italiano” possa sapere il suo nome e sapere che il berretto sia suo… Decide così di fermarsi a Mansilla invece di continuare fino a Léon ed ecco che finiamo per incontrarci. Tra poco, nella cucina di un piccolo albergue, mangeremo insieme la paëlla preparata dagli angeli spagnoli Roberto e Angel. C’è anche Rebecca, con cui ho camminato tutto il giorno lungo un sentiero senza una curva, immersi in una densa bruma ormai invernale.


ƒm


Incredibile cammino,
più proseguo e più mi sembra di perdere il filo.
Il filo però c’è, è quello che lega noi tutti pellegrini.
Un solidissimo filo di ki.
Prima di me, infiniti sono quelli che mi precedono.
Dopo di me, infiniti sono quelli che mi seguono.
È questa l’unica cosa che possiamo fare camminando: cercare.
Ciò che continuiamo a cercare, più o meno consapevolmente.
è il nostro giusto posto in questa immensa catena umana
fatta di persone ordinarie eppure straordinarie,
animate tutte da una vera spinta interiore.
C’è il tempo per conoscersi, per incontrarsi e rincontrarsi.
Per perdersi e per ritrovarsi.
Corriamo dietro a qualcuno che ci attende là davanti,
rallentiamo per attendere qualcuno che ci insegue.
Lascio segnali di pietra per chi verrà dopo di me.
Scruto, guardo ammirato e apprezzo i segni e i segnali lasciati da chi mi precede.
Sono segnali di pietra, di legno o di ki.
Oggi ho lasciato una nuova croce ortodossa di pietra sul bordo del sentiero.
Ho scritto anche un messaggio: “Hi Stéph”.
Ora che non ci vediamo più voglio incoraggiarla nel suo cammino che forse è solitario.